Tema vincitore del Premio

IMG_1154Giambattista Vico, nasce nel 1668 a Napoli, è uno tra i filosofi e i letterati di maggior rilievo del Settecento. Estraneo al suo tempo, straniero in patria, Vico poté dare sfogo a tutti i pensieri più profondi durante la stesura della sua autobiografia, Vita scritta da se medesimo, su richiesta del conte friulano Giovanartico da Porcia. Volendo dare un’immagine chiara e definita di sé, egli assume la figura di eroe letterato, di istorico, profondo conoscitore, a volte inconsapevole, della filosofia degli antichi e soprattutto del seicento, ma anche netto oppositore degli ambienti filosofici napoletani a quei tempi particolarmente influenzati dalla filosofia di Gassendi e alla metafisica cartesiana.

Straniero in patria, come lui stesso scrive, vive un senso di solitudine profonda e di triste isolamento anche a causa di delusioni accademiche. Come si evince dalle pagine della Vita, l’esilio forzato è un motivo che lo differenzia dal suo maggiore avversario: Renato Delle Carte che invece aveva scelto una solitudine intellettuale per giungere al suo Primo Vero.

Citato già nelle prime battute dell’Autobiografia, Vico intrattiene con Cartesio un vero e proprio dialogo di opposizione e contrasto critico. Punto di partenza sarà il cogito tradotto dal nostro non con “penso dunque sono”, ma come “penso dunque esisto”. Rifacendosi anche alla filosofia e alla metafisica di Platone, Vico definisce la sottile differenza che vi è tra la conoscenza e la coscienza di sé. Si può avere conoscenza solo di ciò che si crea, che si fa, e l’uomo essendo generato da Dio, che è causa sui, non può essere causa di sé, ma può solo essere consapevole e cosciente della propria natura. Sulla metafisica il contrasto tra i due autori è ancora più evidente. L’accusa di Vico a Cartesio è di aver subordinato il mondo fisico al mondo metafisico.

Ampio spazio viene dedicato nelle pagine dell’Autobiografia ai quattro auttori che Vico definisce determinanti nella sua formazione intellettuale. Primo tra tutti Platone poiché ci dice quale l’uomo dovrebbe essere, segue Tacito che ci insegna quale l’uomo è nella storia, poi Bacone per il suo metodo induttivo che contribuì alla formulazione del verum et factum, e infine Grozio.

Quest’ultimo, inizialmente, venne tenuto in grande considerazione dal filosofo poiché riuscì a mettere in sistema la filosofia, che si occupa del vero, con la filologia, che si occupa del certo, giungendo così alla reale conoscenza delle cose. Ma nella pagine finali verrà condannato insieme a Seldel e Pufendrof poiché il suo diritto naturale non era delle genti, come in un primo momento aveva inteso il nostro, ma astratto, dei filosofi.

La scelta deliquattro autori è comunque fondamentale per arrivare alla sua concezione della Scienza Nuova: la storia che si sviluppa in tre età degli dei, degli eroi e degli uomini. Un concetto ciclico, quello dei corsi e ricorsi in cui alle tre età della storia corrispondono tre fasi della vita degli uomini caratterizzate da memoria, fantasia ed ingegno. Tutto questo per confermare la sua Topica, arte dell’orazione feconda, che deve precedere la critica. L’educazione dei giovani deve avvenire con ordine e rafforzare le facultates coerenti con un nuovo metodo degli studi.

Claudia Falanga